saluti ad un amico

non serve scrivere tanto, la tua faccia sorridente la ricorderemo tutti.

Ovunque tu sia ti abbracciamo…ciao sherif 

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3 Responses to saluti ad un amico

  1. uitko says:

    in pochi hanno davvero aiutato lo sceriffo, D. della stecca che ha cercato di mandarlo in un gruppo di alcolisti e di fargli fare dei lavori vari.

  2. Sharif says:

    La prima volta che ho avuto a che fare con Sharif, o sceriffo, come lo chiamavamo tutti, è stata una delle sere in cui come reload avevamo cominciato a gestire insieme ai pergolani lo spazio anche durante le serate. Sharif era talmente ubriaco da non reggersi in piedi e da non riuscire ad essere spostato dalla sedia arancione di gomma e metallo su cui era riverso. Erano le cinque del mattino, io e marvin stavamo chiudendo la baracca insieme a quattro altri disperati e non ce la facevamo più. Lo abbiamo preso di peso e lo abbiamo portato con tutta la sedia fuori sul marciapiede, poi abbiamo chiamato un’ambulanza per timore che se fosse rimasto lì da solo avrebbe rischiato il coma etilico.

    Sharif era un egiziano di non si sa bene quanti anni, non si sa bene di quale città, e non si sa bene da quanto tempo fosse in Italia, arrivato con suo fratello Mario alcolista peggio di lui, ma con molta meno voglia di provare a tirarsene fuori di lui. Lo sceriffo era l’esemplificazione vivente di come la ferocia milanese e italiana può aggredirti e ferirti, lacerarti. Sharif era un alcolista, ed era un brava persona, un uomo buono. Sharif era anche vittima di sé stesso, ma gli anni in cui ho condiviso il quartiere Isola con lui mi hanno dimostrato che sarebbe bastato poco per renderlo una persona felice.

    Di lui le leggende del quartiere raccontavano che fosse stato un grande chef prima di cadere nella trappola dell’alcool, e quando lo vedevamo con noi dietro i fornelli in Pergola dava prova del fatto che queste voci forse non erano del tutto infondate. Il romanticismo della sua figura stava tutto nelle voci che lo circondavano, e nei piccoli fatti di disperazione quotidiana che ti sembravano trasformare quelle voci in delle grottesche storielle. Sharif che spaccia pochi grammi di hashich per sbarcare il lunario, Sharif che ci aiuta a tenere aperta Pergola, sperando di poter dormire per una notte nel cortile senza dover cercare una panchina qua e là, Sharif che mi supplica una birra, l’ennesima e io che gli rifilo un the caldo. Sharif che mi guarda cercando di farmi capire che sa che lo sto facendo per ridurre il suo abbrutimento, ma che con la sua voce roca mi chiede lo stesso un’ultima birra. Sharif besce bollo zigarett.

    Sharif è una leggenda urbana e una storia vera, di quelle che ti aiutano a capire la città in cui vivi, che ti aiutano a percepire come le cose sotto sotto siano molto meno rosee e piacevoli di quelle che vorresti immaginarti. Un egiziano che con la sua vita sregolata e semplice nei suoi bisogni riusciva sempre a strapparti un sorriso, e al tempo stesso un commento amaro su come ogni chance fosse effimera di fronte a lui. Mille volte si è rimesso in sesto, vivendo con noi e trovando lentamente un modo di vivere un po’ più rispettoso di sé stesso. Mille volte lo abbiamo ritrovato abbrutito. Senza soluzione di continuità.

    Sharif rimane per me un esempio della vita diafana di un migrante a Milano, nel bene e nel male, una figura a cavallo della vita ordinaria che pensiamo sia normale e della vita straordinaria e misera che è spesso la normalità. Sharif è un pezzo della mia vita nel quartiere Isola.

    Sharif è morto qualche giorno fa, rimasto a Milano a barcamenarsi negli stenti. E’ morto da solo, come è vissuto da solo, nella semipermeabilità delle nostre vite parallele. Ho voluto bene a Sharif e avrei voluto riuscire a descrivere meglio il senso paradossale che ha avuto nelle nostre vite. Sta sera gli offro un ultimo the virtuale, alla cannella come piaceva a lui, con una marea di zucchero, e forse stasera potrei dargli anche l’ultima birra.

    http://indy-lo.ortiche.net/?q=node/993

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